S.I.TO.

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PREZZO GASOLIO: LA NORMATIVA ITALIANA VIOLA IL DIRITTO DELLA UE

La Corte di Giustizia Europea, il 4 settembre 2014 ha diramato un comunicato stampa relativo al prezzo del trasporto di merci su strada. Citando testualmente "prevedendo che tale costo non possa essere inferiore ai costi minimi di esercizio, la normativa italiana viola il diritto dell'Unione".

L'applicazione di un simile prezzo minimo può restringere la concorrenza nel mercato interno.

La normativa italiana relativa al trasporto di merci su strada prevede che il  corrispettivo dovuto dal committente non possa essere inferiore ai costi minimi di esercizio, i quali includono, da un lato il costo medio del carburante per chilometro di percorrenza e, dall'altro, i costi di esercizio dell'impresa di trasporto.

I costi minimi sono determinati mediante accordi di settore conclusi tra le associazioni di vettori e le associazioni di committenti di servizi di autotrasporto. All'epoca dei fatti, l'Osservatorio sulle attività di autotrasporto era incaricato di fissare i costi minimi qualora non fosse stato stipulato nessun accordo.

Nel 2011 l'Osservatorio ha adottato una serie di tabelle al fine di fissare i costi minimi.

L'Anonima Petroli Italiana, società petrolifera italiana, ha chiesto al TAR del Lazio l'annullamento degli atti dell'Osservatorio concernenti i costi minimi.

Tale giudice chiede alla Corte di Giustizia se la normativa italiana sia compatibile con i principi di libera concorrenza, di libera circolazione delle imprese, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Con la sentenza emessa la Corte ricorda, in primo che, nonostante le norme del TFUE sugli accordi vietati tra imprese non siano vincolanti per gli Stati membri, questi ultimi sono nondimeno sottoposti al dovere di collaborazione con l'Unione, così che non possono adottare provvedimenti idonei ad eliminare l'effetto utile di tali norme. Queste risultano quindi violate qualora uno stato membro imponga o agevoli la conclusione di intese vietate, rafforzi gli effetti di tali intese oppure ancora revochi alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica.

In secondo luogo, per quanto riguarda la normativa controversa nel procedimento principale, la Corte constata che l'Osservatorio, composto maggioritariamente da rappresentanti di associazioni di categoria ed abilitato ad agire nell'interesse esclusivo della categoria, dev'essere considerato un'associazione d'imprese direttamente soggetta alle regole della concorrenza. Di conseguenza, la fissazione dei costi minimi d'esercizio impedisce alle imprese di fissare tariffe inferiori a tali costi.
Pertanto, limitando la libertà degli attori del mercato di determinare il prezzo dei servizi di trasporto di merci su strada, la normativa italiana è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno.

In terzo luogo la Corte rileva che la determinazione dei costi minimi non è idonea, né direttamente né indirettamente, a garantire il conseguimento dell'obiettivo legittimo fatto valere dall'Italia per giustificare la restrizione della concorrenza (cioè la tutela della sicurezza stradale). Infatti, la normativa nazionale si limita a prendere in considerazione la sicurezza stradale in maniera generica, senza stabilire alcun nesso tra essa ed i costi minimi. Inoltre, il provvedimento contestato va oltre quanto necessario per il rafforzamento della sicurezza stradale.

Date tali corcostanze, la Corte dichiara che la normativa italiana non è compatibile con il diritto dell'Unione.

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